Cosa vuol dire “ansia generalizzata”? Ansia è la parola più cercata nel web dopo depressione.
“Sono ansioso!” Una frase che sentiamo spesso dire dalle persone in ambienti più disparati oltre che la più frequente nello studio dello psicoterapeuta.
Le persone ansiose tendono a monitorare costantemente l’ambiente alla ricerca di potenziali pericoli per sé o per le persone più prossime. Non essendoci nessun pericolo reale immediato la loro preoccupazione si sposta nel futuro.:
Le persone che ne soffrono sono sempre preoccupate, ansiose, tese e questa condizione persiste nel tempo mentre i disturbi fisici che l’accompagnano possono anche essere intermittenti.
Le caratteristiche principali del disturbo sono infatti costituite dall’ansia (una preoccupazione sotto forma di attesa apprensiva) e dalla difficoltà nel gestire la preoccupazione. Solitamente tali stati si accompagnano ad una serie di sintomi, tra i quali:
Diversamente dagli altri disturbi d’ansia, in cui prevale la tendenza a concentrarsi su alcuni specifici timori, nel disturbo d’ansia generalizzato lo stato di apprensione non è determinato da un qualche fattore in particolare, quanto piuttosto da una realtà esterna vissuta come piena di minacce e di pericoli.
Ad esempio, nel caso di chi soffre di attacchi di panico o di ipocondria l’attenzione si focalizza verso l’interno, ovvero verso quei segnali fisici temuti in quanto indici di un potenziale attacco o di una malattia incipiente.
Invece, nel caso del disturbo d’ansia generalizzato l’attenzione è rivolta all’esterno. L’apprensione è uno stato di preoccupazione costante (anche se fluttuante) che non ha un oggetto in particolare. Sembra rispondere ad un principio secondo il quale “le cose comunque andranno a finire male!”
La maggior parte delle preoccupazioni eccessive sono relative a circostanze quotidiane come:
Chi soffre di tale disturbo può svegliarsi durante la notte con la preoccupazione di non riuscire a risolvere un problema economico o di non essere all’altezza del lavoro che deve svolgere o agitarsi eccessivamente nell’attendere un amico in ritardo perché immagina che abbia avuto un incidente.
Alcune persone con questo tipo di problema si rendono che le preoccupazioni siano eccessive, e ciò è evidente dopo che, l’evento temuto, non si è verificato come predetto; altri invece ritengono che i loro timori siano effettivamente realistici e sinceri.
In entrambi i casi alla base vi è un disagio che mina il presente. Al punto di non poter stare mai bene perché in costante “allerta tragedia”. Percependo il proprio ambiente come minaccioso, rilassarsi diventa un comportamento da incoscienti in quanto il pericolo potrebbe coglierci di sorpresa. Possiamo pensare di far bene a preoccuparci perché in questo modo saremo pronti ad affrontare qualsiasi evenienza. Non solo. Avremo anche la possibilità di evitare che le cose possano peggiorare. In questo modo si instaura uno stato mentale in cui la tranquillità determina una sensazione di vulnerabilità, mentre l’allerta diventa l’unica forma di sicurezza possibile.
Per mantenere costante l’allerta, il pensiero deve essere sempre all’opera. Il rimuginare diventa un modo per affrontare le situazioni, controllare la realtà e prevenire i problemi. L’attenzione può arrivare a focalizzarsi senza sosta sui potenziali pericoli. Anche se possiamo riconoscere razionalmente che il mondo non è poi così pericoloso, tuttavia non tolleriamo più l’incertezza degli eventi: qualsiasi esito negativo, di per sé, risulta insopportabile. Alla fine, solo la certezza assoluta della sicurezza viene ritenuta un criterio accettabile per tranquillizzarsi e questo, a sua volta, favorisce ulteriormente il rimuginio come forma di controllo e prevenzione delle situazioni di vita.
Chi soffre di questo tipo di disturbo mette in pratica delle “tentate soluzioni” che, anziché migliorare, peggiorano il problema complicandolo ulteriormente giorno dopo giorno. Queste tentate soluzioni disfunzionali sono:
Questi comportamenti contribuiscono solo momentaneamente alla riduzione delle preoccupazioni e dell’ansia. Con il passare del tempo rinforzeranno il disturbo d’ansia generalizzato. Nella continua ricerca di rassicurazioni, la persona potrebbe ottenere risposte contrastanti da varie fonti, aumentando, piuttosto diminuire, le proprie preoccupazioni.
Il modo in cui tendiamo ad affrontare la vita influisce profondamente sulla percezione e sull’immagine che abbiamo di noi stessi. Possiamo sviluppare un’immagine ed un giudizio su di noi. Ci sentiamo apprensivi per debolezza o perché ci facciamo impressionare troppo, perché non riusciamo a fregarcene oppure, semplicemente, perché pensiamo troppo. Di contro possiamo anche costruirci la fantasia che è “forte” quella persona che, diversamente da noi, non sperimenta mai insicurezza, ansia, timore o paura. In questo modo arriviamo sentirci sempre più vulnerabili e inadeguati.
La percezione di noi stessi come vulnerabili e del mondo come pericoloso, può costringerci a mettere in atto, pur di recuperare una sorta di controllo sugli eventi, un evitamento più o meno sistematico delle situazioni che temiamo o che riteniamo rischiose.
Evitando, da un lato stiamo alzando i nostri parametri di sicurezza, dall’altro non dobbiamo più confrontarci né con il pericolo né con la sensazione d’incertezza che ci risulta così difficile da tollerare. L’evitamento implica però delle conseguenze importanti. Non solo stiamo evitando di correre dei rischi, ma anche di fare esperienza delle nostre capacità nell’affrontarli. Limitiamo il nostro stile di vita e allo stesso tempo rinforziamo ulteriormente un’immagine di noi come fragili ed indifesi. Soprattutto se ci paragoniamo a tutte quelle persone che affrontano le stesse situazioni dalle quali noi ci tiriamo indietro.
La psicoterapia breve strategica è ritenuta una delle più efficaci per questi tipi di disturbi, come per tutti i disturbi d’ansia, per i quali sono stati sviluppati specifici protocolli che hanno raggiunto un altissimo valore di efficacia ed efficienza.
BIBLIOGRAFIA:
Nardone G. (1999), Psicosoluzioni, BUR, Milano.
Nardone G. (2000), Oltre i limiti della paura BUR, Milano.
Nardone G. (2003), Non c’è notte che non veda il giorno, Ponte alle Grazie.