“La paura di non essere all’altezza ci fa compiere ogni giorno un passo in avanti”
Koan Giapponese
La paura di non essere all’altezza
Che si tratti di un lavoro, un partner, un’abilità che vorremmo imparare, la domanda che ci poniamo è sempre la stessa. “Sarò all’altezza?”
Oggi sempre più le persone convivono ogni giorno con la sensazione di non essere all’altezza o di non essere del tutto adeguate. Questa sensazione di sentirsi inadeguate può riguardare svariati ambiti di vita. Può riferirsi alle caratteristiche estetiche o a capacità come intelligenza, simpatia o cultura. A volte può diventare una sensazione in cui ci si sente sempre meno degli altri.
Un detto giapponese recita: “la paura di non essere all’altezza ci fa fare un passo in più al giorno“. Questa visione orientale trasforma il timore in una spinta a migliorarsi. Nel mondo occidentale, invece, sentire di non essere in grado di fare qualcosa conduce ad una paura del fallimento. Assume quindi una connotazione negativa.
Infallibili, sicuri di noi stessi, capaci di gestire al meglio le nostre emozioni, apprezzati e ammirati e appagati dalla nostra vita. Questi sembrano essere i nuovi standard a cui aderire per potersi sentire veramente adeguati e all’altezza.
Inoltre, le giovani generazioni sono iper protette da famiglia e società. Non sperimentano abbastanza ostacoli da sviluppare e fiducia nelle proprie risorse personali. Facilmente rinunciano anche a mettersi alla prova.
Nella paura di non essere all’altezza i comportamenti più frequenti sono principalmente quattro.
1. Evitare ciò che temiamo. Si tratta di un’arma a doppio taglio. Da una parte evitare ci protegge dalla paura di provare insicurezza. Dall’altra conferma la nostra incapacità di affrontare e superare le difficoltà.
2. Chiedere aiuto. Anche in questo caso delegare agli altri ciò che dovremmo fare noi consolida l’idea che siamo incapaci di fare le cose da soli.
3. Eccesso di controllo. Da un lato cerchiamo di controllare l’ansia che conduce ad una perdita di controllo. Fare tutto in modo perfetto protegge dalla paura, ma può condurre a disturbi psicologici invalidanti come il disturbo ossessivo compulsivo.
4. Sfiducia verso gli altri. Si innesca quando temiamo che l’altro possa danneggiarci e impedisce la costruzione di relazioni sane.
5. Rinuncia. La più pericolosa. Quando la sfiducia nelle proprie capacità conduce a rinunciare alle prove che la vita ci propone, ecco che viene confermata la nostra incapacità. Essa diventa reale.
In alcuni casi la persona teme di non essere all’altezza delle aspettative degli altri e degli standard sempre più elevati che la società impone. I social network hanno contribuito ad amplificare il bisogno di apparire e la conseguente paura di essere giudicati inadeguati.
In altri casi il giudice più severo è quello interno. E’ come una voce interiore che ci ricorda che tanto ciò che facciamo non è mai abbastanza. Dovremmo fare di più e meglio. Non siamo poi così attraenti e capaci come gli altri ci vedono.
Nella maggior parte dei casi sono proprio le persone capaci e dotate a sperimentare queste sensazioni di inadeguatezza.
La categoria di coloro che hanno paura di essere giudicati dagli altri è molto ampia.
A volte il timore del giudizio si riferisce solo ad alcuni ambiti o persone. Altre volte è una paura generalizzata che accompagna la persona in ogni circostanza della vita. Anche il contenuto del giudizio temuto può variare molto. Alcuni temono di venir giudicati sul piano intellettuale (pensano che sono stupido, ignorante, poco interessante…). Altri sulla base delle caratteristiche estetiche (brutto, insignificante, poco interessante, trasparente…) Altri ancora di personalità (antipatico, fragile, troppo emotivo…).
la paura di esporsi, di non piacere, del conflitto e del rifiuto.
A differenza di coloro che temono il giudizio degli altri sempre attenti a segnali esterni negativi, chi ha il giudice interno appare impermeabile a tali segnali. Il più delle volte riguarda persone adeguate e capaci. È frequente che abbiano una vita di successo lavorativo e relazionale . Gli altri riconoscono loro meriti e qualità ma nonostante questo continuano a sentirsi inadeguati.
paura dell’inadeguatezza e paura del fallimento.
Interessa persone di tutte le età, sesso, livello culturale e sociale. Può riguardare un solo ambito della vita, come la paura di parlare in pubblico. In altri casi può manifestarsi in settori più generalizzati come il sentirsi sempre giudicati per quello che si dice o si fa.
Si esprime con ansia e somatizzazioni di vario tipo. Sudorazione, arrossimento, balbettio e tremori delle mani solo per citarne alcune.
A volte la paura è così violenta da portare alla creazione di un disturbo da attacchi di panico. In questi casi la persona sente la paura di morire o di perdere il controllo della propria mente e del proprio corpo e fare una figuraccia. Nei casi più severi questa paura può sfociare in altri disturbi clinici come la fobia sociale, la paranoia o le manie persecutorie.
Più che di paura in questo caso prevale la dimensione della vergogna.
Ecco perché chi ha paura di esporsi cerca di rendersi il meno visibile possibile. Per esempio si evita di esprimere la propria opinione in una conversazione. In altri casi quando si deve parlare si utilizzano precauzioni come tenere con se caramelle o una bottiglietta d’acqua. Oppure si pianifica in maniera dettagliata tutto ciò che si dirà o farà in una certa circostanza in modo da ridurre il rischio di giudizio da parte degli altri. Per esempio, chi deve parlare in pubblico, impara a memoria il suo discorso. Chi deve presentare un lavoro lo ricontrolla più volte per essere sicuro di non aver commesso errori.
Il bisogno fondamentale è quello di sentirsi amati, ben voluti e apprezzati dagli altri.
Chi ha paura di non piacere non teme il giudizio degli altri. Piuttosto prova paura di dire o fare qualcosa che gli faccia perdere l’approvazione o l’affetto delle persone a cui tiene.
In ambito lavorativo, questa paura si manifesta con la difficoltà di prendere decisioni che possano essere spiacevoli per qualcuno. In ambito personale, amicale o sentimentale, si esprime con la paura di non essere più amati.
Quando la paura di non piacere è lieve, la persona è sempre attenta alle esigenze degli altri e si lamenta dell’egoismo altrui, continuando ad aspettarsi, invano, di ricevere attenzioni che lei è così brava a dare. Non riesce a disinvestire da certi rapporti, nonostante si senta irritata e amareggiata perché teme di deludere l’altro e perdere la relazione. Se il rapporto finisce, replicherà lo stesso copione nelle nuove relazioni.
Quando la paura di non piacere è più estrema, la persona è intrappolata nel suo bisogno di compiacere gli altri per ricevere conferma di essere benvoluta. Finisce così con il “prostituirsi” alle esigenze altrui pur di mantenere il consenso. Diviene incapace di dire di no a qualsiasi richiesta perdendo di vista le sue esigenze. Spesso anticipa i bisogni altrui senza che questi vengano espressi.
Quando si realizza che la propria esistenza è impostata all’essere disponibili, la persona si sente sola e crolla. È allora che arriva in terapia, spesso con sintomi depressivi severi. In alcuni casi la persona si trova in un vero e proprio deserto relazionale. Il copione della “prostituzione” l’ha resa così poco desiderabile agli occhi degli altri che viene abbandonata.
Ma ci sono casi in cui queste persone hanno una vita relazionale molto ricca. Sono apprezzate e benvolute. Proprio in virtù della loro estrema disponibilità. Il sentirsi sole dirompe nel momento in cui realizzano che sono volute per quello che fanno e non per quello che sono.
Riguarda la paura di non sapere gestire emotivamente il conflitto. La paura può essere quella di essere travolti dall’aggressività dell’altro o, al contrario, di perdere il controllo delle proprie reazioni ed eccedere.
Analizzando la storia di chi soffre di questa paura, troviamo frequentemente due situazioni opposte.
In alcuni casi si tratta di persone cresciute in contesti familiari o sociali conflittuali con frequenti litigi in famiglia o con un genitore molto aggressivo. Per loro il conflitto è così doloroso che tendono ad evitarlo il più possibile.
All’opposto, troviamo persone cresciute in contesti così armonici che non hanno mai imparato a gestirlo.
Per non affrontare il conflitto, la persona è costretta a sviluppare notevoli abilità comunicative e relazionali fino a diventare automatici. Può addirittura succedere che la persona finisca per convincersi che l’evitamento del conflitto è una scelta dettata da valori personali, e non il frutto dell’incapacità di gestire la paura originaria.
La paura del conflitto è spesso presente in persone di successo, imprenditori e manager che hanno fatto di questo limite una risorsa. Dotati di grandi abilità comunicative, ottimi mediatori, queste persone piacciono e fanno carriera anche in virtù di questa caratteristica decisamente desiderabile. Il problema sorge quando la vita primo poi li porrà di fronte alla necessità di indurirsi. La risorsa torna ad essere così un limite e la persona finisce per avere bisogno di aiuto.
Il primo aiuta le persone ad affrontare un conflitto. Saprebbero cosa dire e come dirlo, ma non riescono a farlo perché bloccati dalla paura. In questi casi si offre alla persona una serie di strategie per gestire questo timore.
Nel secondo caso, si aiutano coloro che non hanno mai sviluppato le capacità comunicative per gestire un conflitto. Sono coloro che pensano che chiedere qualcosa in modo aggressivo sia l’unica modalità per ottenere ciò che desiderano.
La paura del rifiuto è molto frequente tra i giovanissimi. In passato si parlava di fobia scolare, un disagio per cui i bambini e ragazzi si rifiutavano di andare a scuola per paura delle prove scolastiche. Oggi assistiamo sempre di più a ragazzi che stanno a casa perché si sentono rifiutati dai compagni. Questi ragazzi spesso vivono profonde insicurezze e non hanno mai imparato come relazionarsi con i pari. I ragazzi finiscono così per auto escludersi dal gruppo per il loro sentirsi non accettati e inadeguati.
La paura del rifiuto la troviamo a tutti i livelli e le età. Può riguardare il timore di essere rifiutati se ci si espone sul piano sentimentale. Il timore del rifiuto può manifestarsi sul lavoro quando ci si sente escluso dai colleghi, per esempio nelle pause pranzo e caffè. Oppure ci si sente rifiutati perché poco attraenti sul piano fisico o perché poco interessanti su quello intellettuale.
Generalmente queste persone tendono ad evitare i contatti sociali, oppure si sforzano di essere simpatici o rifiutano gli altri per non essere rifiutati.
Chi soffre di questa paura convive con un giudice interiore severo. Così impietoso che può trasformarsi in un vero e proprio inquisitore o persecutore interno.
Comunque facciano, queste persone non si sentono mai del tutto adeguate. Sono impermeabili ai segnali del mondo esterno quando questi confermano la propria adeguatezza. Sono bravissimi a enfatizzare ogni piccolo errore o mancanza a riprova della loro inadeguatezza. Per queste persone il successo vale zero, l’insuccesso vale doppio.
A causa del loro senso di inadeguatezza, queste persone si impegnano molto più di coloro che non devono dimostrare ogni giorno il proprio valore. Finiscono così per ottenere ottimi risultati e quindi un innalzamento delle richieste e delle aspettative. Potremmo definirlo un “successo catastrofico”. Più si affannano per zittire il proprio persecutore interno, più gli danno il potere di perseguitarli in virtù delle maggiori aspettative nei loro confronti.
La paura può andare dalle forme più lievi di chi si sente un po’ insicuro ma porta avanti la sua vita con successo, a vere e proprie patologie come disturbi fobico-ossessivi, paranoici o depressivi.
Il timore principale è quello di deludere le proprie aspettative su se stessi.
Spesso le persone che vivono questo timore riferiscono di essere cresciuti sentendosi sopravvalutati dagli altri, senza mai sentirsi all’altezza. A volte la paura del fallimento è nata nel passaggio dalla vita di studenti a quella lavorativa, altre volte era già presente. In altri casi insorge più tardi, a seguito di particolari esperienze di vita.
Quando la paura è lieve, la persona prova a mettersi in gioco, ma di fronte alla prima difficoltà tende a scegliere battaglie più semplici in cui è sicura di vincere. Altre volte evita da subito di mettersi alla prova, limitandosi a fare solo ciò in cui si sente già capace. Quando la persona ha la certezza di fallire, rinuncia a mettersi alla prova in qualunque attività come se si sentisse condannata al fallimento.
L’esito è spesso una patologia depressiva grave o una paranoia.
Premesso che l’autostima non si eredita, ma si costruisce, di seguito propongo alcuni consigli che ci aiutano ad avere una sana autostima.
Solo affrontando ciò che la vita ci propone possiamo metterci alla prova e sviluppare le nostre capacità. La fiducia nelle proprie risorse si guadagna sul campo, dimostrando a noi stessi che siamo in grado di fare concretamente.
Dobbiamo evitare di porci obiettivi irraggiungibili sia nei tempi che nei modi e accettare che qualunque abilità complessa vada acquisita a piccoli passi. Per saltare molto in alto bisogna prima allenarsi con asticelle più basse e alzarle progressivamente. Diventare eccellenti saltatori richiede fatica e tolleranza alla frustrazione. Nessun grande obiettivo può essere raggiunto senza sforzo e determinazione.
Evitiamo di delegare ad altri ciò che dovremmo fare noi, altrimenti ci priviamo della preziosa opportunità di crescita. Questo non significa fare sempre tutto da soli. Anche il più bravo saltatore ha bisogno di suggerimenti da parte del coach e di sostegno da parte di chi gli sta accanto. Ma alla fine chi deve saltare è lui.
Chi vuole eccellere deve accettare di poter avere qualche piccola imperfezione che lo protegge dalla grande imperfezione. Chi vuole essere sempre perfetto in tutto quello che fa, rischia di cadere in grandi imperfezioni. Piuttosto eccellere vuol dire fare del proprio meglio nei limiti delle proprie capacità.
Creare relazioni sane implica essere capaci di costruire rapporti reciproci in cui esiste un sano equilibrio tra il dare e l’avere.
Non possiamo piacere a tutti data l’enorme varietà di valori, opinioni, gusti e abitudini che caratterizza il genere umano. Possiamo piacere agli altri solo se corriamo il rischio dimostrarci per quello che siamo nei nostri pregi e difetti. Solo così possiamo comprendere di essere apprezzati non solo per quello che facciamo ma anche per quello che siamo.
Se vogliamo mantenerci efficaci e capaci in un mondo in costante cambiamento, dobbiamo essere flessibili e adattabili. Preziose, a tal riguardo, le parole di Albert Einstein che affermava: “la misura del dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario“.
Coltiva l’arte di migliorare te stesso, da tutti punti di vista. Parafrasando Nietzsche, nella vita tutto ciò che non ci eleva corre il rischio di abbassarci.
Non esiste progresso che non comporti qualche fallimento. Il percorso per diventare capaci implica provare, cadere e rialzarsi. Il fallimento non è mai una sconfitta, ma parte integrante della possibilità di raggiungere il successo.
R. Milanese (2020), L’ingannevole paura di non essere all’altezza, Ponte alle Grazie Milano
G. Nardone (2014), L’arte di mentire a se stessi e agli altri, Ponte alle Grazie Milano
E. Muriana, L. Pettenò, T. Verbitz (2006), I volti della depressione, Ponte alle Grazie Milano
R. Milanese, P. Mordazzi (2007), Coaching strategico. Trasformare i limiti in risorse, Ponte alle Grazie Milano
G. Nardone (2014), La paura delle decisioni, Ponte alle Grazie Milano